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al testo di Alberto Rizzi
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Ho sempre avuto un debole per i viadotti; in senso estetico, intendo, e soprattutto quando viaggio in autostrada. Non credo che i progettisti ci abbiano pensato a questo dettaglio, ma spesso e volentieri ti regalano dei paesaggi stupendi.
Più di tutti mi piacciono quelli che iniziano all’uscita di una galleria; già quando se ne sbuca fuori, su qualsiasi strada, ti si allarga il cuore, specie a chi – come me – soffre di una leggera forma di claustrofobia: beh, con un viadotto subito dopo è meglio, molto meglio, no? Purtroppo non ci si può fermare, ma se non devo proprio andare di fretta, quasi sempre rallento un po’, specie su quelli che valicano gli Appennini; e se qualcuno dietro prende a strombazzare, che si fotta…
Ho girato tutta l’Europa, ne ho visti migliaia; e in Italia quelli che mi son piaciuti di più sono i due che stanno sulla SS 647, quando si va verso Campobasso lungo il Biferno. C’è un rapporto odio-amore nei loro confronti, perché da un certo punto di vista sono un cazzotto negli occhi, un insulto alla tutela del paesaggio, come solo in un Paese del Terzo Mondo come l’Italia può succedere: però due viadotti che si snodano per chilometri, in parte piantati in mezzo a un lago (quello artificiale di Guardialfiera), non ti lasciano indifferente.
Molto affezionato sono anche a certi altri, magari corti ma che ti aprono uno squarcio particolare su certe vallate a mezza costa, come quelle che punteggiano la costiera ligure. Ci vedi all’inizio solo il bosco che ne ricopre i versanti, giù fino alle vallate sottostanti; e quando ne hai visti dieci, venti di scorci così, mentre si percorre l’autostrada che da La Spezia va a Ventimiglia, quella vista può lasciarti alla fine indifferente; però a un certo punto noti un gruppetto di case, una masseria abbarbicata su quei pendii, che davvero ti vien da pensare che solo a dorso d’asino si riesca ad arrivarci; ma non puoi fare a meno di notare come sia perfettamente inserita nel paesaggio: per dov’è messa e per com’è fatta, a cominciare dai materiali.
Allora, mentre rallento e rischio lo strabismo - perché con un occhio devo seguire la strada, mentre con l’altro tento di tenermi dentro quell’immagine per più tempo possibile - prima penso che mi piacerebbe abitare in quella casa, poi che in quel punto della Terra sembra che ce l’abbia voluta mettere la mano di Dio; e poi che gli ingegneri che hanno cementificato e asfaltato mezza Italia, devono essere dei coglioni: come ho appena scritto, non credo che abbiano pensato “adesso il viadotto lo piazzo proprio così, a quell’altezza, in modo che quelle case si vedano al meglio”, devono esserci riusciti solo per caso.
Adesso ci sto camminando, su uno di questi viadotti d’autostrada che da Roncobilaccio vanno verso Firenze; ho la mia pettorina catarifrangente addosso e ho lasciato l’auto come se fosse in panne appena prima del suo inizio, ma senza i blink accesi: non voglio che qualcuno pensi che ho bisogno di una mano. Vero che gli italiani sono un popolo di ebeti, tanto che non si fermerebbero nemmeno se ci stessi stuprando un bambino, su questo viadotto: ma non si sa mai, è stagione turistica e sulle autostrade di stranieri ce n’è a frotte...
Tornando a me, su Internet c’è il sapere del mondo: in neanche mezza giornata ho trovato tutto quel che si deve conoscere – a cominciare da lunghezza e diametro della corda, in rapporto al peso corporeo – per impiccarsi a regola d’arte; anche come fare e posizionare il nodo scorsoio, perché ti rompa l’osso del collo al primo strappo: che l’idea di crepare strozzandomi il respiro poco a poco, mi dà un po’ fastidio. E cammino e penso al gran colpo d’occhio che ne verrà a chi, dal fondovalle però, vedrà il mio corpo nero immobile, come un filo a piombo proprio al centro della campata. È quasi il tramonto, ci sarà anche il controluce giusto. |
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